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Fonte: www.edizioniandromeda.com/comunicati.html

La risposta dell’organismo a una grande varietà di malattie infettive comprende spesso uno stato febbrile e un generale malessere. A queste manifestazioni si aggiungono perdita di appetito, spossatezza, presenza di dolori muscolari e articolari, brividi di freddo. È lecito considerare questi sintomi ben noti solo come sgradevoli effetti collaterali di una malattia? Sembra vero il contrario: molti ricercatori cominciano a considerare la febbre e il malessere che ne deriva come risposte adattative che concorrono a combattere la malattia. La causa prima di questa risposta sono i messaggi chimici provenienti dal sistema immunitario.

Quando si instaura un processo patologico infettivo, a base batterica o virale, i germi vengono attaccati dai macrofagi, cellule dotate di una spiccata attività fagocitaria. Ai macrofagi spetta inoltre il compito di liberare particolari sostanze definite interleuchine, che fanno suonare il campanello di allarme per le altre cellule del sistema immunitario diffuse nell’organismo. Le interleuchine causano ulteriori risposte: abbassano la soglia di risposta dei nocirecettori (e perciò vengono considerate alla base delle sensazioni di dolore dai farmacologi clinici); generano un senso di sonnolenza; raggiungono l’ipotalamo e, in tale sede, stimolano la secrezione del fattore di rilascio dell’ormone corticotropo, il quale dà l’avvio ad altre risposte dell’organismo. Le interleuchine sono anche responsabili dell’innalzamento del valore del punto di funzionamento richiesto per le risposte termoregolatrici ipotalamiche. I messaggeri intracellulari attivati dalle interleuchine comprendono le prostaglandine, la cui sintesi è decisamente inibita dall’aspirina e dalla tachipirina; ciò spiega perché tali prodotti riducono la febbre e attenuano gli aspetti più sgradevoli delle malattie da infezione. Da quanto detto sorge un dubbio sull’opportunità di ridurre la febbre e di combattere la sensazione di malessere, dal momento che l’una e l’altra rappresentano risposte adattative di difesa alle infezioni e inducono l’individuo malato a ridurre l’impegno fisico, favorendo il superamento del processo infettivo. La prima prova convincente del fatto che la febbre rappresenti una risposta adattativa alle infezioni deriva da una serie di esperimenti condotti su lucertole stabulate. Questi animali, avendo a disposizione in laboratorio una lampada a calore, mantengono nel corso del giorno la loro temperatura corporea intorno a 38 °C entrando nel campo di azione di tale lampada e allontanandosi da esso. Una volta che batteri patogeni vengono inoculati nelle lucertole, si osserva che queste tendono a passare più tempo sotto la lampada, innalzando la loro temperatura corporea in un ambito di valori tra 40 e 42°C; in altre parole sviluppano un processo febbrile! Viene spontaneo chiederci se la febbre aiuti le lucertole a superare la malattia infettiva. Per rispondere a tale domanda diversi gruppi di animali, ognuno dei quali aveva ricevuta la stessa dose batterica, sono stati tenuti in incubazione a 34, 36, 38, 40 e 42°C. Tutti gli esemplari mantenuti a 34 e 36 °C sono deceduti, mentre è sopravvissuto circa il 25% di quelli a 38°C e il 75% delle lucertole sottoposte a 40 e a 42°C.

In base a questi risultati si può affermare che la febbre dà un aiuto effettivo al superamento di certe affezioni batteriche. La febbre dunque è una risposta immunitaria tesa a difendere l’organismo, un segnale preziosissimo per capire che qualcosa non va. Ed è proprio a partire da lì che dovremo indagare per sapere che cosa ci vuol dire il nostro sistema immunitario. Sta a noi scegliere se aiutare questo prezioso alleato rinforzandone l’azione o abbatterla come un nemico.

Per chi volesse approfondire consigliamo la lettura dell’articolo del Dott. Luciano Proietti: “Quel farmaco naturale chiamato febbre”, pubblicato sulla Guida alla Salute di CARTAduemila n. 06, dal titolo “PIANETABIMBO”, Ed. Andromeda, Bologna 1996.