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di Claudio Cardella

Introduzione: il problema della memoria dell’acqua[1]

L’ormai annosa controversia sulla “memoria dell’acqua”  è dovuta, da un lato, al conflitto tra l’abbondante messe di risultati sperimentali ottenuti dall’omeopatia e l’inadeguatezza delle teorie fisico-chimiche a spiegarli  compiutamente e, dall’altro, alla diffidenza che la fisica e la chimica hanno storicamente mostrato verso quegli stessi  risultati sperimentali. D’altro canto la ricerca sull’omeopatia e le ultra diluizioni richiede intrinsecamente un approccio multi-disciplinare.

La storia della memoria dell’acqua s’intreccia inestricabilmente con lo sviluppo dell’omeopatia moderna poiché questa presuppone quella, in assenza di un principio attivo chimicamente osservabile.

Finora, le ipotesi concernenti la memoria dell’acqua sembrano ancora lontane dal rappresentare teorie fisiche o scientifiche consistenti perché non forniscono esperimenti quantitativamente riproducibili. D’altro canto sembrano inadeguate a delimitare, generalizzare e formulare predizioni sui fenomeni macroscopici osservabili e da lungo tempo osservati in questo campo. Al proposito ricordiamo che già nel 1986 un articolo di Lancet affermava, sulla base di una meta-ricerca scrupolosamente condotta, la realtà terapeutica dell’omeopatia.

Il dibattito fondamentale in seno alla ricerca sulle ultra diluizioni è il trasferimento e l’immagazzinamento dell’informazione nelle soluzioni acquose da un lato, e nelle cellule biologiche con incapsulamento acquoso dall’altro.

La percezione generale della conservazione dell’informazione è che questa  sia mantenuta da qualche tipo di ordine o di struttura ordinata in seno al tessuto del vettore dell’informazione stessa ossia della soluzione acquosa o della cellula biologica.

Da qui il dilemma sulla struttura ordinata dell’informazione. Un ordine a macchia di leopardo, come i domini di coerenza, oppure  un cambiamento di stato globale dell’intera massa acquosa?

Questo è il terreno di confronto tra la meccanica quantistica e la meccanica classica.

Infatti l’acqua e le soluzioni acquose giocano un ruolo speciale tra i liquidi: poiché la molecola costituente è formata da un atomo grande, massivo, e polarizzato, (lo ione negativo di O): da cui risulta una lunghezza d’onda di de Broglie grande rispetto alla dimensione atomica, onde l’atomo di O può essere considerato un oggetto della meccanica classica (Newtoniana) che risponde all’equazione di Van der Waals), e da due atomi piccolissimi e polarizzati (gli ioni H) la cui lunghezza d’onda di de Broglie è dello stesso ordine di grandezza della dimensione atomica, ciò che rende oggetti di natura quanto-meccanica.

La visione quanto-meccanica non riesce a colmare la distanza tra il livello microscopico  -quello dell’interazione molecolare-, e i fenomeni ormai osservati e misurati a livello macroscopico – tra cui: variazione di pH, della costante dielettrica, dell’entalpia di mescolamento e un’apparente inversione della freccia del tempo. L’ estensione quanto-elettrodinamica di questa visione implica le fluttuazioni del vuoto (ovvero la “materia pura” di Severi-Pannaria) ma tuttavia rimane incapace di spiegare proprietà fondamentali delle soluzioni acquose che hanno ricevuto un trattamento omeopatico tra cui l’inversione della freccia del tempo manifestata dall’entalpia di mescolamento e l’inversione delle proprietà del principio attivo (Legge di Arnoldt-Schultz) .

La visione “classica” s’impernia sull’azione dei legami idrogeno, che determinano la formazione di una struttura estesa. Ma quanto estesa? E’ lecito considerare  tutta la massa acquosa completamente strutturata da un reticolo quasi -cristallino globale articolato in legami deboli e in legami forti? Solo l’esistenza di una struttura globale di questo tipo è infatti in grado di dar conto dell’interazione dell’acqua, -già ampiamente osservata sperimentalmente- anche con campi e.m. ultra deboli[2].

Infine un accenno alla Teoria della Complessità: possiamo considerare l’acqua, che a seguito di un processo di omeopatizzazione ha acquisito una “memoria”, un sistema aperto, e complesso [3]al margine del caos? E’ un interrogativo insidioso  perché, sebbene l’auto-organizzazione sia effettivamente un evento locale, tuttavia la sua emergenza e la sua struttura dipende da un’interazione non soltanto locale, bensì da un’interazione che possiamo definire, -con un neologismo in voga-,  “glocale” ossia delle singole componenti locali con le variabili globali del sistema, o, per meglio dire un’interazione delle variabili locali con la “forma sostanziale del sistema” intesa come sede di tutte le possibili interazioni del sistema. Nei termini della fisica di Severi-Pannaria-Cardella, è l’interazione tra scena e retroscena (vedi oltre) del sistema stesso, e  presuppone l’intervento attivo dell’antimateria nella configurazione della materia combinata sulla scena fisica. Questa considerazione si estende automaticamente ad ogni aspetto dell’equilibrio dinamico. Allora, mentre da un lato la verifica sperimentale qualitativa del fatto che l’acqua, a seguito della procedura omeopatica muta le proprie caratteristiche fisico chimiche globali è ormai affidabile e in larga misura deterministica, -nel senso che è possibile riconoscere sperimentalmente, con un margine d’errore quasi trascurabile, se un campione d’acqua ha ricevuto o meno un trattamento omeopatico anche ad altissime diluizioni-,  dall’altro, la verifica quantitativa è oltremodo incerta non solo nei riguardi della ripetibilità della misura, ma anche nei riguardi  della sua evoluzione temporale.  Ne consegue che anche volendo collocare il problema della memoria dell’acqua nel vasto ambito dei sistemi complessi, i metodi della Teoria della Complessità, non sono in grado, almeno allo stato attuale, né di giustificare le osservazioni sperimentali, nè di formulare ipotesi predittive attendibili.

In conclusione, la strada più promettente per lo studio della memoria dell’acqua sembra essere un modello ibrido che tenga conto al tempo stesso dell’esistenza di una struttura globale e del suo sfondo di materia pura, o sub-quantico che dir si voglia. Questo sfondo di retroscena della scena fisica potrebbe essere la lavagna su cui le antimolecole di Severi Pannaria ovvero le fluttuazioni del mezzo subquantico imprimono la memoria dell’acqua.

Rimane ancora un interrogativo fondamentale, soprattutto ai fini biologici: l’acqua deve essere considerata come una molecola COMPOSTA di oggetti meccanici e quanto-meccanici, oppure come un tutt’uno nuovo e originale COSTITUITO da oggetti che tuttavia non sono più reperibili né separabili in quanto tali finché l’acqua permane nel suo stato chimico fisico?

Considerazioni preliminari

In ultima analisi il rimedio omeopatico è un principio attivo ripetutamente diluito nell’acqua, e “succusso” dopo ogni diluizione.

Dal punto di vista chimico ogni diluizione abbassa la concentrazione del principio attivo di un fattore 10-2, onde, e nel migliore dei casi, (ossia di acqua bi-distillata di buona qualità certificata pura dal produttore, a meno di una concentrazione di impurezze di una parte per milione [1ppm ≡ 10-6] ), una diluizione  4CH  è tecnicamente indistinguibile dall’acqua di preparazione. E’ tuttavia un grave errore, seppure molto comune, considerare l’irreperibilità ponderale del principio attivo destituente ogni sua azione fisico-chimica.

Alcune considerazioni per definire il nostro campo d’indagine.

La prima. Se il rimedio omeopatico agisce in assenza di una quantità ponderabile di principio attivo, o è un placebo, o la sua azione deve essere precipuamente di tipo fisico. Il placebo agendo per suggestione basata su aspettative e credenze individuali trova applicazione soltanto in ambito umano, mentre si hanno numerose evidenze sperimentali dell’efficacia del rimedio omeopatico nell’ambito vegetale e animale (tra cui quelle prodotte da chi scrive). Rimane l’azione fisica o fisico-chimica, con precedenza della fisica sulla chimica..

La seconda. Il celebre aforisma omeopatico Similia similibus curantur non è del tutto vero. Infatti è contraddetto dalla Legge di Arnoldt Schultz che prevede l’inversione delle proprietà del principio attivo omeopatizzato. In altre parole, se nel corso e ad opera della procedura omeopatica le proprietà del principio attivo subiscono un ribaltamento, allora il simile non viene curato dal simile bensì dall’antisimile, e ciò non fa poca differenza. Non è più il caffè a curare la tensione nervosa, ma l’anti-caffè, per consuetudine espresso, in omeopatia, col suo nome Latino, Coffea. Questa inversione delle proprietà del principio attivo è una caratteristica peculiare dell’omeopatia e vale,  -salvo poche eccezioni-  per tutti i principi sottoposti al trattamento omeopatico.

La terza. L’omeopatia non rispetta la Legge dell’azione di Massa, perché la posologia è indipendente dal peso corporeo[4]. Ne consegue uno spinoso interrogativo: rispetta almeno il Principio di Causa-Effetto? O, ciò che è quasi la stesso, rispetta la Legge della Conservazione dell’Energia?  Senza Causa-Effetto e/o senza la Conservazione dell’Energia, valida e trasmissibile attraverso tutti i livelli di osservazione e di osservabilità, non si fa la fisica, e tanto meno la chimica, in senso classico, ben inteso.

In alternativa, dovremmo considerare il rimedio omeopatico, e per esso l’acqua omeopatizzata che lo rappresenta, un sistema aperto e complesso.

Da quanto precede, già s’intuisce che l’omeopatia produce fenomeni che non trovano spiegazione né nella chimica, perché la chimica cerca  nell’acqua una sostanza che non c’è, o meglio, che non c’è più in quantità misurabile, né nella fisica che non riesce a dar conto, tra l’altro, della famigerata Legge di Arnoldt-Schultz.

Il fatto che l’acqua conservi un ricordo del principio attivo[5] e che questo ricordo si rafforzi con le successive diluizioni omeopatiche, per la scienza accademica resta ancora un’eresia punibile con la gogna (solo mediatica, per fortuna), anche se abbiamo ormai acquisito una solida evidenza sperimentale che l’acqua, a seguito del trattamento omeopatico muta in modo ampiamente misurabile alcune sue proprietà chimico-fisiche. Non si è ancora in grado di riconoscere quale principio attivo sia stato immesso nell’acqua, tuttavia si può agevolmente distinguere, e con grande precisione, il campione d’acqua che ha avuto un trattamento omeopatico da quello che non lo ha avuto.  Le proprietà dell’acqua alterate dal trattamento omeopatico in maniera significativa sono: il Ph, la costante dielettrica, l’entalpia di mescolamento e con ogni probabilità la costante di dissociazione.

Ancora più interessante è il fatto che nell’acqua omeopatica l’entalpia di mescolamento, che in definitiva è un calore interno, cresce nel tempo anche in assenza di ulteriori trattamenti. Normalmente il calore, (anche interno), di un corpo diminuisce nel tempo quando il corpo è lasciato a se stesso e la temperatura esterna è inferiore a quella del corpo. Invece per queste acque vale il contrario: lasciate a se stesse, si “scaldano” al passare del tempo, almeno per un certo periodo, che è dell’ordine dei mesi. Questo aspetto è degno di attenzione, perchè il trattamento omeopatico oltre a produrre  un’inversione del principio attivo, instaura anche un’inversione temporale, come in un film proiettato a partire dalla fine.

In conclusione si osservano due inversioni, una del principio attivo, che chiamo “inversione spaziale”, e una dell’entalpia di mescolamento che chiamo “inversione temporale”. Questa è una prerogativa singolare, ad  oggi notata solo nel trattamento omeopatico dell’acqua. L’osservazione sperimentale dell’inversione temporale dell’entalpia di mescolamento, già teoricamente  prevista da Pannaria come necessaria conseguenza del principio di scambio, rappresenta un’importante conferma della sua interpretazione fisica dell’omeopatia.  Di ciò si darà più esauriente spiegazione nell’ultimo paragrafo di questa nota.

Il meccanismo d’azione del rimedio omeopatico

Sarebbe lungo e complicato rendere giustizia all’omeopatia nei confronti della fisica. Ritengo infatti che l’omeopatia sia negata dall’accademia e denigrata dall’industria farmaceutica, è temuta alla stregua di un grimaldello in grado di scardinare le basi del paradigma attuale (peraltro già pericolosamente scricchiolante) e perché allo stesso tempo costituisce  una pietra di fondamento di quello futuro.

La prima teoria scientifica sul meccanismo d’azione del rimedio omeopatico è di Francesco Pannaria[6]. Farò del mio meglio per esporla in modo succinto, semplificato e intuitivo, integrandola con qualche riflessione personale. Rimando al successivo paragrafo i dettagli di ordine più prettamente fisico che  si indirizza a quanti vogliano compiutamente approfondire l’argomento .

Per introdurre, in linea di principio, il funzionamento di un rimedio omeopatico, supponiamo di fare un semplice esperimento: gettiamo uno ad uno, in un bicchiere d’acqua  dei granelli di sale (NaCl ad esempio), come farebbe un bambino che non sa nulla di chimica e di fisica; riguardo al metodo di indagine ciò equivale ad assumere un punto di vista prettamente fenomenologico. Dapprima vedremo scomparire uno ad uno i granelli di sale nell’acqua e successivamente, continuando il procedimento, noteremo che da un certo granello in poi essi non scompaiono più, perché li vediamo accumularsi sul fondo del recipiente: adesso un chimico direbbe che la soluzione è “satura”. Ma il bambino, che non sa di chimica, si chiede: “Dove prende l’acqua la forza per distruggere i granelli di sale?” E poi ancora: “Perché l’acqua distrugge solo un certo numero di granelli di sale e un numero diverso di granelli di marmo?” Il nostro bambino ne dedurrebbe che l’acqua compie un certo lavoro per “distruggere” i granelli di sale e compie un diverso lavoro per distruggere quelli di marmo. Ne dedurrebbe anche che l’acqua può compiere solo una certa quantità di lavoro e ciò dà conto del numero di granelli di sale o di marmo che riesce a “distruggere”. Questa, all’incirca, è la fenomenologia elementare del processo di solvatazione.

L’acqua dunque compie un lavoro per portare in soluzione una sostanza e la quantità di soluto dipende dalla quantità di lavoro che l’acqua è in grado di compiere sulla sostanza stessa. Questo lavoro l’acqua lo fa una volta per tutte,  anche se vengono rimossi gli ioni prodotti dalla soluzione della molecola, che prosaicamente possiamo considerare essere i “cocci” residui  dopo la “distruzione” delle molecole di soluto. Ciò a dire che il lavoro fatto dall’acqua per sciogliere le molecole rimane immutato, e non possiamo agire su di esso, anche quando nell’acqua non sono più presenti gli ioni di soluto. Di questo lavoro generalmente la chimica non ne parla.

Ma c’è di più; quel lavoro non ha soltanto un aspetto quantitativo, peraltro prettamente quantistico, a causa della natura molecolare della specie solvatata, ma anche uno qualitativo, tanto è vero che l’acqua, pur in presenza del corpo di fondo di una specie chimica, è ancora in grado di portarne in soluzione altre.

Potremmo allora pensare che per distruggere una specifica molecola, l’acqua metta in opera una sua capacità di antimolecola, ossia un’azione uguale e contraria a quella che ha formato la molecola, o, per meglio dire, traduca in atto una sua specifica antimolecola virtuale.

La procedura omeopatica, pur diluendo ripetutamente la soluzione, ossia rimuovendo gli ioni del soluto, non incide affatto sul lavoro compiuto un volta per tutte dall’acqua per portare in soluzione le molecole inizialmente immesse. Quel lavoro rimane impresso nel corpo dell’acqua, ed è parte del ricordo specifico dell’acqua. Dunque non una “memoria” generica, ma specificamente dipendente dalle antimolecole presenti, ossia una memoria del negativo della specie chimica prima che divenisse soluto. La memoria dell’acqua, o più correttamente il ricordo, è costituito non da ciò che è presente in essa, bensì da ciò con cui ha interagito, e non c’è più; quindi il ricordo è costituito da una mancanza, che ha lo stesso tessuto del desiderio, e come tale non soggiace alla Legge dell’Azione di Massa. Ne deriva, come fondamentale conseguenza, che detto ricordo non è localizzato in una regione specifica del corpo acquoso né per intensità, né per qualità. In altri termini ogni porzione d’acqua omeopatizzata detiene tutto il ricordo del principio attivo originario.

Scrive Pannaria[7] “…ben considerando, diversamente procede il processo quando l’acqua è servita da solvente e quando da questo solvente se ne estrae omeopaticamente il soluto. Il procedimento dell’attenuazione omeopatica è un cambio di valuta dell’energia: quantitativo e quantico (operato dalla massa); qualitativo e funzionale (operato dalla sostanza) … Poiché le attenuazioni omeopatiche avvengono mediante successive diluizioni e potentizzazioni (successioni) tutto ciò si rifletterà ovviamente sulle molecole e sul liquido di sfondo molecolare, anche quando di molecole non ve ne sono più  … nelle operazioni di apprestamento dei preparati omeopatici, l’energia di attivazione, specificata dalle attenuazioni sostanziali, proviene dal vuoto (dal vuoto di materia combinata del nostro mondo e di forze newtoniane). Questa energia, con quel tal metodo omeopatico attivata e specificata la diremo energia di valuta omeopatica: l’arsenico allopatico delle eruzioni cutanee, è l’antiparticella (antiarsenico) della particella (arsenico), ciascuna con proprietà di antitesi a confronto dell’altra. E’ come se sullo sfondo liquido da cui per successive interazioni-diluizioni (potentizzazioni-attenuazioni) si sono estratte le molecole e si sono estratti gli ioni, permanesse una impronta che dà all’energia suscitata e proveniente dal vuoto, la valuta dell’antimolecola virtuale e quindi una funzione antitetica a quella sostanziale e attuale della molecola. … E’ come se nella soluzione d’attenuazione, privata anche dell’ultima molecola, restasse la stampa, l’impronta, il negativo della molecola e cioè, l’antimolecola. L’energia di interazione-diluizione suscitata dal vuoto e tanto più sorgente dal vuoto per quanto più si procede nella potentizzazione-attenuazione, assume la valuta dell’antimolecola e diviene energia di valuta omeopatica, di una determinata valuta, secondo la ‘forma’ della molecola e cioè, secondo ciò che persiste della molecola, vale a dire, l’antimolecola. Quel che persiste di una sostanza che scompare è la ‘forma’. E poiché ad ogni particella di qualsiasi specie (cosiddetta ‘elementare’, atomica, molecolare, cellula, fino all’uomo) corrisponde ed è correlativa una propria coniugata antiparticella, e poiché l’antiparticella è la ragione per cui la particella è e sussiste, ad ogni farmaco allopatico corrisponde ed è correlativo un farmaco omeopatico. … Le diluizioni dello ‘sfondo’ non attenuano la funzionalità dell’antiparticella, e le ‘potentizzazioni’ (succussioni) sono accumulamenti di energia che legano sempre più l’antiparticella  allo sfondo: perciò la potenza dello sfondo e la funzionalità dell’antiparticella sono indipendenti dalla quantità di H2O. … Donde ne deriva che le successioni servono -per quante più se ne opera- a rendere sempre più energetica la funzione di antitesi[8] dell’antiparticella o quella che gli omeopatici chiamano dinamizzazione.

Ricapitolando, il rimedio omeopatico veicola antimolecole, che equivalgono alla mancanza di una specifica sostanza. Le antimolecole diventano tanto più efficaci quanto più vengono separate dalla sostanza di partenza e dai suoi i residui; ecco spiegato il ruolo e  la necessità delle successive diluizioni. Diluendo si ottiene un’acqua sempre più pura, ma sempre più pura nel contenuto di antimolecole, le quali acquistano in tal modo maggior potenza, così come un desiderio si rafforza all’aumentare della distanza che lo separa dalla sua realizzazione. Vi è dunque una differenza abissale tra la medicina omeopatica e allopatica: mentre il farmaco allopatico fa i conti con le dosi, il rimedio omeopatico fa i conti con le diluizioni. La parte attiva del rimedio omeopatico è dunque un inverso, un anti-principio delocalizzato nello sfondo acquoso che lo ha generato, ed è estraneo alla Legge dell’Azione di Massa proprio in quanto mancanza di massa, essendo la massa  -Newton insegna- la quantità di materia addensata (dalla forma sostanziale) nell’estensione del corpo. Veicolare ad un organismo una carenza, equivale a indurre nell’organismo una richiesta di ciò che non ha. Così l’antisale, è la mancanza di sale, e passa all’organismo l’informazione: “guarda che ti manca il sale”. Questa informazione è la medesima per il neonato e per l’adulto, ma varia notevolmente per l’uno e per l’altro la risposta, onde ciascuno reagirà alla medesima mancanza con una propria reazione specifica per qualità e per quantità. Se d’altro canto l’organismo non ha carenza di sale, ignorerà l’informazione, onde il rimedio omeopatico non può nuocere anche quando la prescrizione è sbagliata.

Le considerazioni precedenti si possono ulteriormente argomentare alla luce dell’interrogativo: “Quale è la natura  più fonda dell’antimolecola?”. Tutta la materia combinata in corpo fisico nasce già organizzata, non esiste particella che non sia retta da un progetto, perché non c’è ente materiale che non sia organicamente strutturato, in grado di esistere e sussistere senza una predisposizione ordinante di fondo; sotto questa premessa, è controsenso definire inorganica una parte del mondo.

Stabilito che ogni oggetto della scena fisica soggiace ad un progetto nello stesso modo in cui soggiace ad un progetto la Pietà di Michelangelo, è opportuno ricordare che dobbiamo al genio di Aristotele la prima definizione della materia quale presupposto dell’ilemorfismo nel celebre aforisma: “la materia sta all’ente come la creta sta alla statua”. Dunque tutti i corpi come statue: ma la statua è il risultato di un processo ideativi e prima di realizzarla occorre pensarla. Generalizzando, possiamo dire, con Parmenide di Elea che esiste solo ciò che può essere pensato e, ricalcando Einstein, che l’universo esiste perché qualcuno è in grado di pensarlo, ovvero che il mondo fisico ha una costituzione mentale, ben nota alla filosofia da Platone in poi,  non ancora considerata dalla fisica e intravista, seppur nebulosamente, dall’omeopatia nel “mind” del rimedio.

Dal momento che la statua è realizzata, il progetto è andato a finire dentro la statua, che ne è la materializzazione nello spazio e nel tempo, in una parola, l’incarnazione, mentre, fin quando il progetto era un’idea fuori dallo spazio e dal tempo, coincideva con la mancanza della statua, ossia col desiderio di realizzarla… Ne consegue che la statua si oppone al suo progetto come la potenza si oppone all’atto.

Tornando ai nostri granelli di sale da cucina, le molecole immesse nell’acqua sono altrettante statue, formate -come direbbe Aristotele- a partire da una creta primigenia  universale (Ήλέ) e costituite secondo il progetto dell’NaCl,. Nel momento in cui la molecola in quanto tale viene distrutta, è come se la statua venisse separata dal suo progetto e poiché tale distruzione avviene ad opera dell’acqua e dentro il corpo dell’acqua, questa ne conserva il progetto, ossia l’antimolecola.

Questo è un altro modo, ma del tutto equivalente al precedente, di interpretare la memoria dell’acqua.  Ma è anche molto di più: è una visione del mondo più completa dove la metafisica, intesa come scienza del pensiero, e la fisica, intesa come scienza del pensiero materializzato, si integrano a vicenda senza contraddirsi, perché non possono prescindere l’una dall’altra.

La psicosomatica insegna che fattori propriamente psichici (ad esempio  un’emozione) possono tradursi in eventi  fisici (ad esempio la rottura del miocardio). Dunque esiste un collegamento tra la psiche e la fisica: in ultima analisi l’energia messa in gioco dalla psiche è quella stessa che determina -in certe condizioni- l’evento fisico.

Sotto queste premesse possiamo dar conto dell’efficacia, esclusiva, del rimedio omeopatico sui disturbi psichici quando somministrato ad altissime diluizioni.

All’aumentare della diluizione il messaggio veicolato dal rimedio omeopatico s’allontana sempre più dalla specificità del principio attivo di partenza e acquista una generalità via via crescente. Quanto più si astrae dal principio attivo originario tanto più si affievolisce la sua connessione con le antimolecole presenti nell’acqua, le quali pertanto vengono a rappresentare un progettualità più vasta ove emergono e si definiscono le funzioni e le proprietà, che costituiscono una classe più estesa di quella cui apparteneva il principio attivo di partenza. Analogamente, vieppiù astraendo dal fatto fisico si perviene alla generalità del concetto. Proprietà e funzioni prescindono dall’ambito fisico e attingono quello mentale, dove risiede e si svolge l’azione omeopatica più profonda.

Per esemplificare omeopatizziamo del piombo:  ad altissime diluizioni l’acqua perderà il ricordo della provenienza e delle contingenze accidentali  specifiche della sostanza  di partenza per conservarne soltanto le proprietà più generali: la pesantezza, la mancanza di solidità, l’estrema malleabilità, l’untuosità, la facile liquefazione e una forte opacità al confronto degli altri metalli. Nel suo insieme tutto ciò evoca l’immagine di un materiale pesante, indebolito, precocemente invecchiato (non a caso gli Antichi lo ascrivevano al vecchio e cencioso Saturno cacciato dall’Olimpo), oleoso, deliquescente, stressato, incapace di opporre la propria identità strutturale alle sollecitazioni esterne. E’ la rappresentazione allegorica di un individuo depresso, triste, taciturno, ansioso, che teme la morte, abulico, intellettualmente  torpido, con perdita di memoria, dalla pelle grassa. Le forze plasmatrici che presiedono alla costituzione del piombo sono allora analoghe, o forse addirittura omologhe, a quelle che hanno determinato la patologia psichica.

Materia Pura e Materia Combinata, particella e antiparticella, nella visione di Severi e Pannaria

In stretta sintesi, e rimandando ogni approfondimento e dimostrazione alla bibliografia in nota[9].

Scrive Francesco Severi:

  1. Materia pura è la materia scissa dal tempo e quindi l’unica materia in quiete rispetto ad ogni osservatore.
  2. La materia pura è il limite di un’entità cronotopica fisica, quando svanisce ogni effetto temporale: quindi la materia pura è materia avente massa di riposo nulla. Si ricorda che la massa di riposo di un corpo è definita dal modulo di un certo quadrivettore covariante, e tale massa assoluta è la minima tra le masse del corpo rilevabili dai vari osservatori. Questo minimo è raggiunto dalla misura di un osservatore accompagnante il corpo, cioè in quiete permanente con esso.
  3. Materia pura è la traccia di una particella propriamente fondamentale e autenticamente elementare che varia di luogo nel cronotopo elementare, ad ogni velocità possibile e in ogni direzione possibile[10].

La dinamica di scambio “traduce” in entità fisiche o elementi della materia pura i quattro aspetti o atteggiamenti di qualsiasi  corpo fisico, associati nel nostro mondo, e dai quali non si può prescindere in qualsiasi speculazione e ragionamento di fisica teorica, per qualsiasi operazione sperimentale; la materia (discontinuità e sua sostanza -la N di Avogadro- in ogni grammo-molecola o grammo-atomo o grammo-particella in genere di qualsiasi sostanza e sua indipendenza dalla massa); la massa (univocità dell’insieme delle discontinuità materiali); il campo (generato dalla massa e partecipe della massa); l’energia (ogni forma di mediazione del campo).

La traduzione dei quattro aspetti fondamentali del nostro mondo fisico in elementi della materia pura è operata dall’equazione del principio di scambio e dal significato di ciascuna, e di ciascuna congiuntamente alle altre, delle quattro costanti fondamentali della fisica, legate dall’equazione:

λ c/h = N, ove λ = 1,331443 10-13 cm.

Se ne trae la conclusione fondamentalissima che la materia pura è ciò che resta della materia combinata o materia del nostro mondo o semplicemente materia, quando questa -in certe condizioni- è abbandonata da uno dei suoi quattro elementi di costituzione (materia-massa-energia- campo). I quattro elementi, congiunti, costituiscono la materia combinata del nostro mondo fisico di scena (come lo chiama Pannaria); mentre invece, disgiunti sono i quattro elementi incombinati  della materia pura del mondo fisico di retroscena (come lo chiama Pannaria) (della nostra scena fisica) o antimondo.

Dal lato fisico la materia pura nei suoi elementi incombinati è la matrice fondamentale della materia combinata (Severi-Pannaria) … in natura si verificano mutazioni nelle quali la materia combinata, in certe condizioni perde le sue caratteristiche e diviene materia pura; il mediatore del divenimento è l’antimateria.

Per intendere l’antimateria dirò del principio di scambio.

Il moto, qualunque sia la sua specie, è variazione di luogo nel tempo; la velocità è una misura di cotesta variazione del luogo nel tempo; la forza newtoniana della dinamica classica ed anche relativistica è legata solo alla variazione della velocità. Se ne trae che la vigente concezione del moto considera due specie distinte di variazione di luogo nel tempo: l’una privilegiata, per la quale non necessita forza alcuna; l’altra per cui necessita una forza. Ciò non è ammissibile per la contraddizione che nol consente. Dunque è necessaria una forza anche per conservare la velocità e questa forza, conservatrice del moto in direzione e grandezza (moto rettilineo uniforme) è di natura diversa da quella newtoniana di variazione della velocità. Il principio di scambio conclude con la differente natura delle due forze e qualifica forza di scambio quella legata alla conservazione del moto (rettilineo uniforme): stabilisce così una nuova dinamica -dinamica di scambio- che dà una rinnovata visione del moto e quindi una nuova concezione del mondo fisico[11].

La radice della forza di scambio, nel terreno della materia pura alimenta ogni rama di forza e quindi anche quella newtoniana;  e in questo quadro dell’unità delle forze nasce, come si vedrà il primo concetto dell’antimateria.

Si perviene all’equazione del principio di scambio,  fondamentale della materia, più sopra notata con due semplici proposizioni a) e b) che coniugano massa, campo e quanti d’energia.:

a)      la velocità v (all’istante t) è proporzionale al numero n di quanti riversati dalla massa nell’unità di tempo, per cui -essendo α  il coefficiente di proporzionalità- v = αn;

b)    la grandezza del quanto riversato è proporzionale alla massa m, per cui -essendo β il coefficiente di proporzionalità- hν = βm.

Una terza proposizione c) si deduce dalla a):

c)      l’accelerazione a è la variazione del numero di quanti riversati dalla massa nell’unità di tempo.

Il moto fluente -uniforme rettilineo- è il moto di scambio; il moto influente è il moto delle interferenze di scambio; il moto è l’espressione degli scambi di energia della massa. Donde ne deriva che “ogni teoria di relatività lascia un residuo di assoluto” (Severi, 1907).

Lo sfondo assoluto dei moti relativi sono i quanti minimi: di spazio (lunghezza) λ, di tempo (durata)  τ =  λ/c.

Ne risulta un cronotopo elementare Nˉ λ3 τ ˉN (prisma quadrimensionale)  la cui energia per l’equazione del principio di scambio, è Nh/ τ.

Per la dinamica di scambio, qualsiasi massa, alla stessa velocità riversa lo stesso numero di quanti.

Una particella qualsiasi che riversa N quanti percorrerà una λ del cronotopo alla velocità c nel tempo τ.

La particella per conservare la sua velocità (c) al termine di ogni unità di tempo (τ) riassumerà dal cronotopo gli N quanti. Ciò significa che quando una particella riversa a quanti (da 1 della velocità minima  a  N della velocità massima), ciascun quanto va momentaneamente ad appoggiarsi (per il tempo τ e in generale per il tempo λ/ν) all’elemento materia della materia pura e incombinata del cronotopo. Il cronotopo reagisce a questa intrusione poiché la materia pura e in combinata perde per un tempo (τ o λ/ν) il suo inesorabile equilibrio a quattro elementi (materia-massa-campo-energia: incombinati) e quindi rinvia i quanti all’appoggio materiale della particella (a quattro elementi combinati). I quanti d’energia, a differenza della massa materiale (materia combinata) che li produce, sarebbero manchevoli di un “substat” materiale proprio. I quanta similmente ai virus per la cellula[12] ,  non possiedono un metabolismo proprio, ma partecipano di quello della particella: una volta riversati si appoggerebbero alla materia pura del cronotopo, la quale, conservatrice della propria “non recipiendarietà” (potenza della materia pura), rinvierebbe i quanti all’appoggio materiale della massa che riaveva prodotti, o d’altre masse interferenti (nel moto in presenza di resistenze). La spola dei quanti d’energia tra la materia combinata del mondo ela materia pura e in combinata dell’antimondo, questa spola che genera il moto dei corpi del nostro mondo, è un aspetto dell’antimateria, dell’energia dei quanti in funzione d’antimateria. Il rapporto nell’un verso e nell’altro della spola è una reazione materia combinata a quattro elementi/materia a tre elementi combinati se e in quanto appoggiati al quarto elemento materia/materia pura e in combinata a quattro elementi; questa reazione materia-antimateria-materia pura non può certo generare il moto della materia pura dell’antimondo, la quale essendo in combinata, non possiede proprietà inerziali e gravitazionali e non può essere presa come riferimento assoluto del moto, i cui termini assoluti sono λ e τ e di conseguenza c.

S’è detto dei quanti e dei virus in funzione -analogica- d’antimateria. L’antimateria vera e propria si ritrova ai confine del nostro mondo, nelle reazioni tra materia combinata nelle particelle elementari, energia libera (in quantità straordinariamente grande) e materia pura (delle antiparticelle elementari) proveniente dall’antimondo e chiamata alla ribalta del mondo in soccorso di quell’energia in eccesso di libertà e quantità, e cioè senza la materia di appoggio.

Dunque: l’antimateria è l’apparizione momentanea, nel nostro mondo, degli elementi incombinati della materia pura dell’antimondo[13].

Fin qui la Nota di Francesco Severi.

Concludiamo con Pannaria, in ordine all’omeopatia. L’antiparticella della materia pura degli elementi incombinati  anela a riprodursi discontinua e quindi è avida di combinazione, di materia combinata, dell’ordine della propria determinazione di specie e conseguente quantità. Proseguendo nell’esempio del nostro caso, l’antiparticella lCaN (della particella NaCl) avida di materialità, non potendo ripristinare la molecola NaCl scissa in ioni nella direzione entropica (dal greco έντρέπειν, dirigersi, nel senso delle trasformazioni naturali) diviene parassita della materialità di sfondo che ha operato la scissione, e cioè dell’H2O. I questa avidità insoddisfatta, al ripristino dell’NaCl, del rovescio (lCaN) di NaCl, consiste la proprietà antitetica dell’attenuazione degli Na+ Cl- rispetto alla soluzione madre (soluzione concentrata) di NaCl. … L’energia dell’atto di scissione non è compresa nell’entropia usuale, essendo l’entropia una grandezza dell’azione che segue una scissione. All’opposto, l’atto di coniugazione (nel nostro caso dei due ioni Na+ e Cl- per ripristinare NaCl è un atto antientropico, … onde l’energia in funzione di antimateria come l’antimateria vera e propria proveniente dalla materia pura seguono la legge dell’aumento di entropia. I fenomeni dello spazio e del tempo dell’ordine di λe τ hanno carattere potenziale-funzionale; svanisce il loro attributo quantitativo in rapporto all’accentuarsi del loro habitus qualitativo. Anche l’inversione del tempo τ (-τ) acquista un significato anche fisico in rapporto all’atto di scambio materia pura ↔ materia combinata per la determinazione (produzione) tramite l’antiparticella, della particella.[14]

[1] Parte di questo paragrafo proviene da: Cardella, C.,  Storia delle ricerche di frontiera sulla memoria dell’acqua. Memoria presentata al Convegno: Sette anni di lavori sulle frontiere della scienza con Giuliano Preparata e Jacques Benveniste. 14/12/06 Università di Roma “La Sapienza”.

[2] Cardella C., De Magistris L., Florio E., Smith C. W., Permanent Changes in the Physico-Chemical Properties of Water Following Exposure to Resonant Circuits. Journ. Sc. Expl. 15;4:501-518

[3] I sistemi complessi sono sistemi aperti (interagenti con l’ambiente) costituiti da molteplici componenti più o meno complesse che interagiscono tra loro attraverso una rete (feed-back, positivo e negativo) di azioni (locali) (matematicamente) non lineari. Un sistema complesso (cum + plexus = intrecciato insieme) non può essere spiegato dalla fisica classica a causa della sua estrema sensibilità alle condizioni iniziali (leggi: perturbazioni), ciò significa che piccole variazioni delle condizioni iniziali possono determinare enormi variazioni nell’evoluzione del sistema (Effetto Farfalla). Essendo impossibile prevedere ogni perturbazione, l’evoluzione dei sistemi complessi è completamente imprevedibile, pur essendo tuttavia deterministica; questa condizione è detta di determinismo debole.

Sono variabili di stato tutti le grandezze quantificabili (misurabili) del sistema. Ad ogni istante la stato del sistema è definito dai valori di tutte le variabili di stato. L’evoluzione del sistema è descritto dalla sua traiettoria nello spazio degli stati.

I sistemi complessi possono evolvere nel tempo solo in 3 modi:

a) regime ordinato – La traiettoria raggiunge un punto o un’orbita dello spazio (degli stati) e lì si stabilizza (equilibrio stabile); se si stabilizza in un in un punto si avrà un equilibrio stabile statico; se all’interno di un’orbita si avrà un equilibrio stabile dinamico. Nel regime ordinato il sistema cessa di evolvere (paralisi o estinzione), perché il suo stato non muta più (cristallizazione, se in un punto, “gira a vuoto” se in un’orbita). In regime ordinato l’organizzazione del sistema è possibile, ma dipende da fattori esterni (top-down).

b) regime caotico – La traiettoria si muove in modo irregolare nello spazio degli stati (caos deterministico) senza trovare un equilibrio (sistema “impazzito”, “fuori controllo”). Evolvendo in condizioni caotiche, un sistema può tuttavia trovare improvvisamente un equilibrio stabile. Chiamiamo catastrofe questo evento, che in natura può per esempio corrispondere alla “morte” del sistema. In regime caotico nessuna organizzazione è possibile.

c) regime al margine del caos – La traiettoria è “attratta” da alcune regioni particolari dello spazio degli stati all’interno delle quali tende a muoversi in modo più o meno irregolare (orlo del caos). I punti interni a queste regioni sono detti stati di equilibrio instabile. Al margine del caos i sistemi complessi trovano un equilibrio dinamico, vitale, creativo. Se una perturbazione riesce ad allontanare un sistema dall’equilibrio vi sono due possibilità: o il sistema precipita nel caos, o il sistema trova un nuovo equilibrio sull’orlo del caos, di solito completamente diverso dal precedente. Al margine del caos le componenti di un sistema complesso si auto-organizzano. L’auto-organizzazione dipende solo dalle interazioni locali tra le componenti (bottom up).

[4] Supponiamo di somministrare Belladonna per curare una febbre di 38°C; il medesimo dosaggio verrà applicato al bambino e all’uomo adulto. Orbene per raffreddare di 1,5°C un corpo di 80 Kg occorre un’energia di gran lunga superiore a quella necessaria a raffreddare nella stessa misura un corpo di 20 kg, ciò che in allopatia viene considerato nel dosaggio, ma che in omeopatia non vale, se non altro per l’indefinibilità ponderale del principio attivo.

[5] Fui il primo ad intravedere la possibilità che l’acqua fosse dotata memoria. Nel  1979, (con dieci anni d’anticipo sulla pubblicazione su Nature del prima famoso e poi famigerato lavoro di Jacques Benveniste ed altri),  avevo scritto un articolo intitolato “Il ruolo dell’acqua nei sistemi biologici”. In quel lavoro citavo,tra l’altro, un articolo di “Scientific American” -purtroppo non reperibile in letteratura, (guarda caso)- ove si diceva che si era osservato sperimentalmente un cuore di rana reagire alla digitale omeopatica. E’ noto che la digitale agisce sul cuore di rana fornendogli capacità contrattile, e lo fa battere anche quando è espiantato dall’organismo dell’animale. Ma, nel mio articolo, avevo avuto l’impudenza  di sostenere che il cuore di rana reagiva anche a una soluzione di digitale a una concentrazione espressa da una cifra preceduta da trentacinque zeri!  Ciò fu ampiamente sufficiente a procurarmi l’ostracismo di tutte le riviste scientifiche a cui avevo sottoposto l’articolo per la pubblicazione. Infine, come ultima risorsa,  lo inviai a una sommità della chimica, persona nota per la sua apertura mentale, che ovviamente conoscevo solo di fama. Era Linus Pauling, uno dei padri della chimica moderna,  laureato con due premi Nobel, per la Chimica e per la Pace. Fu l’unico a darmi una risposta articolata, anche se completamente negativa. Disse di non condividere molte delle mie affermazioni, e specialmente quella dove ipotizzavo l’esistenza della “memoria dell’acqua”. La dichiarazione di disaccordo del massimo chimico vivente divenne per me l’autorevole attestato di primo ideatore della memoria dell’acqua.

[6] Francesco Pannaria,  Introduzione al libro di Alberto Lodispoto “Storia dell’omeopatia in Italia”, Roma 1962.

[7] Op. cit. sopra, pgg. 7, 17, 21.

[8] Tale  funzione di antitesi è strettamente correlata alla Legge di Arnoldt-Schultz. (N.d.A.)

[9] Seguono estratti da: Francesco Severi, Le particelle del cronotopo di materia pura, Acc. Naz. dei Lincei, serie VIII, vol. XXXIII, fasc. 5 Nov. 1962.

[10] Francesco Pannaria, Principio di scambio nel cronotopo, Rend. Acc. dei LIncei, fasc. 5, maggio 1960.

Francesco Pannaria, Potenza della materia pura. Energia del cronotopo elementare, Il Chimico, luglio-agosto 1960.

Francesco Pannaria, Particelle del principio di scambio nel cronotopo, Boll. Cons. Naz. degli Ingegneri, febbraio 1961.

[11] La necessità di un’azione permanente del divenire fluente nella mutazione di luogo nel tempo può essere spiegata anche col principio di ragion sufficiente. Se per l’accelerazione di qualsiasi misura valgono le leggi fisiche, anche per l’accelerazione zero ha da esserci una spiegazione fisica. Questo argomento si ricollega alla simmetria degli osservatori nella mia Memoria: Severi F., Sul secondo principio di relatività e sopra una nozione “naturale” del tempo, Comm. Pont. Academia Scientiarum, apr. 1956.

[12] Pannaria, F., Nuove vedute in biochimica, Boll. Fed. Naz. Ordine dei Chimici, luglio-agosto-settembre 1958; questa memoria si ricollega a quella pubblicata negli  “Atti del Congresso di Metodologia”, Torino 1952, e ad un’altra pubblicata in “Recentia Medica” nel 1954.

[13] Pannaria, F e Severi, F. Gli scambi della materia, memoria presentata dal socio anziano Cassinis nella seduta del 19 novembre 1960 per la pubblicazione nei Rendiconti Lincei.

[14] L’Autore è riconoscente a P.R.S. Sansevero per l’assistenza nella stesura di questa Nota.